Catalogo Cambialamore

in un campo di prigionieri di guerra nei pressi di Najaf, in Iraq. Mostra un prigioniero incappucciato da un sacco di plastica, seduto per terra con suo figlio, dietro il filo spinato. Mentre lo abbraccia, gli tiene una mano sulla fronte. La Pietà postmoderna. La stessa radice iconologica di altre due foto viste in passato: un padre palestinese che tiene in braccio un bambino ucciso dalle pallottole israeliane e un padre afgano che porta una bambina dilaniata dalle bombe americane. Quell’ultima sembrava una composizione michelangiolesca, solo che al posto dei piedi penzolavano ossa spappolate... A suo tempo mi aveva colpito particolarmente un’inquadratura della televisione russa, che mostrava una donna kamikaze al teatro Dubrovca di Mosca. Le sue mani erano composte come quelle delle madonne raffaellesche, ma al posto di Gesù bambino c’era la pistola e la cintura esplosiva. Anche questa poteva sembrare una messinscena, una fotografia costruita sul set, come quelle delle donne islamiche di Shirin Neshat. Una volta sono rimasta a lungo a contemplare un microscopico riquadro sul giornale La Repubblica: un cadavere di donna completamente nudo, avvolto nel filo spinato e trascinato da un carro armato. Nessuna didascalia, nessun autore, nessun nome. L’articolo parlava della prima guerra in Cecenia, ma il mezzo militare era troppo lontano per vederne le insegne. Il corpo martoriato, giovane, magro, quasi asessuale e trafitto dalle spine del filo mi sembrò un San Sebastiano del Mantegna. Secondo Aristotele la pietà implica un giudizio morale, che diventa emozione nei confronti delle persone considerate vittime di un’ingiustizia. Ma purtroppo nei drammi che assumono dimensioni catastrofiche, la pietà viene sostituita dalla paura, dal terrore, dall’indifferenza. E’ un modo di chiudere gli occhi per allontanare dalla mente ciò che è un abominio, ma che non ci tocca personalmente. Quando provo ad immaginare le dimensioni del dramma che 45

RkJQdWJsaXNoZXIy MTI4OTA5